Nel periodo che ci ha preceduto, l’arte ha sempre avuto una funzione storico-sociale: è stata la concretizzazione dei valori, delle visioni del mondo, degli ideali in cui una determinata società si è riconosciuta. Si pensi quale valore estetico, religioso, politico hanno significato per l’antica civiltà greca, il tempio, la scultura o la tragedia; così come, per fare un altro esempio, è stato il romanticismo che ha permeato la nostra cultura fino al secolo scorso, ed è stato inequivocabilmente rappresentativo di quel periodo, dove pittura, poesia, letteratura, musica, hanno raggiunto la completa interazione tra uomo, società, ideali e politica.
Oggi la nostra esperienza estetica è differente, l’arte ha in parte abbandonato questa sua peculiarità. La nostra società è caratterizzata da una frammentazione dei valori estetici, una sorta di esteticità diffusa, circolano molti più prodotti artistici, molti più valori estetici, ma, in modo inversamente proporzionale la loro incisività si è sensibilmente ridotta.
Forse oggi non si producono più, grandissime opere d’arte, si produce però un movimento esteticamente significativo, una sorta di disseminazione estetica.
E’ proprio questa la caratteristica della nostra epoca, ed è anche la ragione per cui è fondamentale per una città come Firenze, la realizzazione di uno spazio dove i cittadini possano convergere, confrontarsi, conoscere e dunque vivere l’arte nel suo divenire. Superando quel pregiudizio diffuso che collega l’esperienza artistica con uno stato d’inferiorità pratica che si manifesta sotto forma di tolleranza, per la quale ciò che conta veramente non è certo l’arte! Permettendo, in questo modo, all’estetizzazione di condizionare tutti gli aspetti dell’esperienza. Oggi tutto è ridotto ad immagine, ad apparenza, a spettacolo, anche nella politica assistiamo al trionfo di un’ottica pubblicitaria. L’estetizzazione del mondo in cui viviamo, si riduce alle banalità della moda, della pubblicità variopinta, dei film hollywoodiani, dell’arte è diffuso solo l’aspetto più superficialmente edonistico dell’esperienza artistica. Sempre più spesso si assiste al recupero della nozione tradizionale di bello, inteso unicamente come armonia, conciliazione, superamento e annullamento di tutti i conflitti; ma le avanguardie artistiche, a cavallo tra Ottocento e Novecento hanno mostrato che l’arte nulla ha a che fare con questo tipo di bellezza. Di fronte a questa estetica mass-mediologica, super-egualitaria e super-conciliativa, l’arte contemporanea si muove in direzione opposta rispetto all’omologazione, così come avviene, di tutti i messaggi e di tutti i prodotti, opera contro l’estetismo rivendicando la capacità di scuoterci dal letargo che negli ultimi anni ha sprofondato la cultura.
Tutti noi sentiamo il bisogno di esperienze che vadano al di là del quieto estetismo e di una cinica rassegnazione. L’arte contemporanea è qualcosa di più di una mera illusione, di un semplice godimento, ci solleva da questa esistenza, non genericamente per consolarci facendoci sopportare in qualche modo i mali della vita, ma per rendere l’esistenza che conduciamo più vera, più viva.
L’esperienza dell’arte contemporanea è un’esperienza inquietante, che apre un mondo alternativo a quello presente, scuote le nostre abitudini, le nostre certezze, risveglia la nostra capacità critica.