sabato 27 gennaio 2007

Impermanenze

A ben vedere la questione è una sola e riguarda il senso della vita e della morte, dell’essere e del nulla.

È nell’esplorazione di questa tematica che incentro il mio lavoro e più specificatamente indagando il nulla, qualità trascendentale della realtà e dell’esistenza, principio originario che si materializza in qualcosa di fisico, d’immanente, che non c’è prima né oltre gli elementi fisici che lo mostrano, riconoscendogli valore estetico.

Partendo dalla concretezza della superficie, ricerco nella trasformazione degli elementi materiali la loro bellezza immateriale, che non è equivalente ad un nulla infecondo, ma s’identifica con la possibilità di generare ogni sorta di forma, tra rappresentazione del divenire e l’essere essa stessa oggetto di questa trasformazione, apparendo diversa a seconda dell’inclinazione e della qualità della luce, differente non solo a seconda dell’ora del giorno o della notte, ma anche al variare delle condizioni del cielo e dell’aria, e al mutare del tempo e delle stagioni.

Questo implica una sfida non soltanto nei confronti dell’idea abituale di bellezza, ma nei confronti di ogni forma perché disfà la forma in sé. Questa mutevolezza è suggerita anche dall’utilizzo della superficie quadrata che, senza un orientamento predefinito, riduce ogni forma, in essa contenuta, di consistenza e significati propri e, per traslato, ciascun elemento di ogni situazione e di ogni condizione. Così, anche per i materiali che, mostrando il proprio carattere di transitorietà, d’impermanenza, alludono, allo stesso tempo, al fatto che tale carattere connota necessariamente ogni materiale, sia fisico sia mentale.

Sarebbe, però, sbagliato intendere l’impermanenza, come particolare proprio degli elementi fisici che la costituiscono, soprattutto nel senso della “caducità”, perché questo termine nasconde l’idea di una perdita rispetto all’illusione della durata sognata come eterna. Ciò che io ricerco, nell’umana pulsione a superare il carattere effimero, caduco e perituro del vivere, in opposizione al continuo e inarrestabile scorrere del tempo, nella consapevolezza della condizione d’impermanenza, è la manifestazione estetica di tale impermanenza universale che non equivale a soffrire o godere morbosamente della morte e, in generale, per la caducità del mondo, ma significa cogliere la bellezza dell’impermanenza e, con essa, quella della vita in generale, attraverso il sentire che va al di là dei sensi, inteso non come spiritualità smaterializzata ma materia che vibra, in un’esperienza differente dall’esperienza religiosa perché indissolubilmente legata alla res, alla cosa.

I lavori che qui presento sono per lo più realizzati con metalli in foglia, in polvere, allo stato grezzo e minerale. I metalli come i minerali rappresentano l’inerzia, il mistero dell’origine sulla quale l’uomo non ha potere, l’emergenza delle profondità della vita terrestre, l’impermeabilità allo scorrere del tempo. I metalli sono dotati di energia, di luce, di vibrazioni. Ma la loro caratteristica essenziale risiede nella proprietà di trasformazione che permette all’uomo di intervenire sulla materia di cui però non controlla l’origine; da ciò deriva una serie di modelli archetipici che collegano il metallo dalla profondità terrestre da cui è estratto, all’elaborazione del fuoco che lo plasma. Trasformare la materia, trasmutarla è, nella prassi alchemica, ricerca spirituale, è cercare corrispondenze con l’universo, vivere la trasmutazione. Sotto questo aspetto le foto dei miei lavori su cd-rom sono la contraddizione in termini!

Ma, “La materia” – diceva Nietzsche - “è uno stato dello spirito”. E cosa c’è di più incorporeo di un’immagine virtuale che smaterializza ogni cosa trasformandola da impermanente in eterna? Il rischio è di farsi prendere la mano e, come moderni Faust, sostituire anche la nostra anima con una virtuale. Eppure l’anima, ovvero lo spirito, ovvero il respiro, non è certo virtuale e, nella sua realtà, è indispensabile a tenerci in vita. È per questo motivo che con il mio lavoro utilizzo materiali impermanenti, come il respiro, appunto, sotto forma d’ossidazioni. Attraverso la loro natura deperibile voglio tornare a rivolgermi alla sfera interiore, all’anima. Non si tratta di mediare servendosi di particolari tecniche di contemplazione. Non si tratta neppure di formulare immagini illusorie. L’impermanenza è veramente la realtà di fronte ai nostri occhi. Osservare e vivere la realtà del mondo così com’è veramente è accettare la nostra natura. Se possiamo accettare questa evidenza, l’impermanenza stessa diventa suprema gioia: è realmente e unicamente ciò che unisce tutti gli esseri all’universo, al cosmo intero; è l’ultima natura nostra e di tutte le cose, in definitiva una non-natura.

Oggi la vita è più lunga, dà più benessere, più tempo libero… in realtà abbiamo meno possibilità di apprezzare così com’è, nella sua semplicità, il tepore di una giornata primaverile, il freddo pungente dell’inverno, il vento autunnale… Tutto è uniforme, e più tutto è uniforme, più noi cerchiamo un’eccitazione fittizia. Creiamo tutto un mondo di fabbricazioni che ci lasciano invariabilmente delusi: nulla persiste, tutto cambia, e quasi mai cambia secondo il nostro desiderio. Pur appartenendo a questo mondo di fabbricazioni e nelle inevitabili contraddizioni che i miei lavori implicano, guardo all’arte non come ad un feticcio, come a qualcos’altro da sé, bensì in sé.  Non come ad un’essenza della cosa, ma come la cosa in sé, capace di profondere bellezza così com’è.

Questa è come una goccia di rugiada che al mattino svanisce. È la poesia della vita attraverso cui possiamo osservare e accettare la bellezza nella sua vera natura.  Quando guardiamo a questa particolare bellezza, non troveremo nulla cui attaccarci, nulla da rifiutare, nulla su cui indugiare più di un’instante: vedremo come ogni cosa cambia, nasce e muore in modo assolutamente interdipendente e simultaneo.