sabato 19 agosto 2023

Quel che resta (opera per l'asta a favore delle zone alluvionate in Emilia Romagna)


 Installazione di Ignazio Fresu. Sono i libri di pietra che nascono dalla terra, dalle viscere profonde dell’essere e dell’esistenza stessa

Ignazio Fresu è un uomo dalla sensibilità sottile, attraverso la quale dà ordine al mondo, dall’interno della sua anima, all’esterno visibile a tutti attraverso le sue opere e le sue installazioni. Esprime concetti in cui il senso del profondo diviene un tempo inesatto, attraverso il quale scoprire il mondo e l’arte che nel fluire diviene materia esplorativa della coscienza universale, partendo dal personale.

Le installazioni percorrono il breve momento dell’esposizione, e restano monumenti eretti come segni nello spazio che non le ospita più. Percorre non solo le forme del libro, ma anche il senso profondo che esso assume nelle diverse interpretazioni e metamorfosi, espresse da due diversi momenti: il luogo esterno e un luogo interno; ognuno dei quali ha il suo significato che conduce lo spettatore a riflessioni profonde. Attraverso il libro l’uomo tramanda la propria conoscenza dalla notte dei tempi, il libro forse in questo concetto, esisteva già da prima della sua formazione: sono i libri di pietra che nascono dalla terra, dalle viscere profonde dell’essere e dell’esistenza stessa. In questo senso diventa oggetto antropomorfo. Attraverso lui apriamo le pagine inevitabilmente a tutti i mondi possibili, non solo quelli vissuti nella vita, quanto a quelli sentiti dall’anima; attraverso i suoi libri Ignazio Fresu esplora il mondo della natura; il libro non è più solo un oggetto della biblioteca, ma diventa una porta, un tramite per conoscere le leggi che governano l’universo e l’infinito; conduce lo spettatore verso mille storie possibili della propria vita, come in una spirale di tempo e materia.

Attraverso i libri ci aggrappiamo ai sogni, come fili che ci uniscono all’universo e alla creazione stessa. Il vento, elemento impalpabile della natura, sfoglia a caso le pagine; un caso che ci parla, come un tarocco, svelando un arcano, toccando un momento preciso, un sentimento, una visione che ci è necessaria. Ecco che chi legge, ferma il proprio tempo, il proprio essere, diventa unico nella moltitudine di libri, di pagine, di parole, di vite, perché bisogna fare attenzione con le parole, esse hanno il potere occulto di farci provare emozioni, sprigionare sentimenti, in modo del tutto inconscio da noi stessi. E il libro diventa creatore. L’arte attraverso la visione ci rende un universo mediato dal senso interiore dell’artista, dalla sua cultura, dalla sua evoluzione, ci svela conoscenze, intuizioni che altrimenti non avremmo percepito, è un vetro sottile una specie di lente che ci permette di leggere cose note, svela idee.

Con Ignazio parlo di evoluzione e non di crescita, attraverso le sue installazioni. Un’evoluzione che lo attraversa e lui ci rende espressa in minimi termini, forse in numeri primi se solo in questo momento fossimo in grado di misurare in modo matematico la sua arte. I numeri che reggono le leggi del mondo, le dinamiche della creazione. A noi sta svelarle, non tanto conoscerle, ma percepirle. Ecco allora che l’uomo si fa artista, crea una nuova visione, un linguaggio visivo dove l’occhio percepisce l’immagine, il cervello mette a fuoco il particolare e di questo particolare si nutre l’anima. Le sue strutture affondano radici nella nostra società, ma ne vogliono trarre la coscienza, intima e sanguigna, non tanto solo collettiva, quanto personale di ognuno di noi osservatori.

L’espressione artistica non è un punto di arrivo o di partenza, è un tragitto a volte sofferente, in cui l’artista sta a colloquio con il Caronte della propria anima. Il traghettatore che conosce ma non svela, che trasporta senza dirci la meta; bisogna ascoltarlo solo osservandolo, uno specchio riflesso del sé dove la frenesia delle parole diventa muto linguaggio; l’incoscienza dei fatti che avvengono, diventano stupore; il turbinio dei moti dell’anima, il voler spiegare il futuro in un concetto che va oltre, diventano osservazione. Caronte diviene il tramite della ricerca.

L’arte si fa attesa, a volte non c’è tempo in cui si possono spiegare i fatti della costruzione; la meditazione avviene dopo, osservando il lavoro compiuto, quando di fronte si esprime la visione, si esplica lo stupore. I libri di Ignazio danno forma alla matematica che genera il mondo, alle intuizioni di Fibonacci, ai legami con l’alchimia, con il mondo sottile dell’infinito e di una conoscenza occulta. Un ordine che esula dal caos improvviso degli sconvolgimenti naturali, ma che si culla sulle vibrazioni della creazione, nella precisione della matematica, diventa conforto.

Un legame tra il senso profondo dell’infinito e le leggi che regolano l’universo, è così reso visibile dalla mediazione dell’arte, dell’uomo figlio dell’arte. L’uomo si fa interprete del verbo, che a sua volta crea il mondo, il reale, il nostro modo di conoscerlo. Ecco allora che l’artista non lascia spazio alle libere interpretazioni, se non a quelle inconsce, mediate dalla personale cultura, come nell’attesa di un risveglio dialettale tra il visibile e l’uomo che attende la rivelazione.

I libri contengono le formule matematiche, la metrica dell’universo, le rime dei sillogismi che fanno tendere le esperienze umane verso il divino, contengono le formule fisiche, le espressioni con cui la mente ha faticato per raggiungere la conoscenza, l’universo, la creazione stessa: la presunzione della conoscenza. Eppure il sentimento dell’infinito ci spinge esso stesso alla fuga, per la scoperta, per il ritorno, come in una sfera senza un centro esatto ed in continuo movimento, come milioni di vie percorse nei millenni, con prospettive diverse dell’umanità. Il vagare si fa studio fragile, mentre il libro diventa strumento di conoscenza, passaggio terreno non solo di informazione e cultura. Diviene pietra miliare, cippo che indica un percorso, un arrivo, una nuova partenza, ma il viaggio è personale.

Come anticipato in una sua precedente opera, il tempo si compone e scompone nell’inquietante passaggio verso la morte. Eppure, Ignazio attraverso l’arte, ha fermato il tempo, plasmato, in un modello rivolto a tutti, dove l’angoscia si mescola alle possibilità, dove diventando cosa concreta, non fa più paura. Un tempo che non ci uccide, non ci conduce alla caducità della vita, ma al qui ed ora; dove la metamorfosi esatta è appunto l’infinito, l’immortalità, la continuità.

Eppure tra le righe, i libri svelano concetti sconosciuti, attraverso frasi velate, attraverso percezioni ignote, tendere alla perfezione, come nei processi alchemici, come nella poesia, così nell’arte, osservando l’abisso. Mettere in pratica la lettura del nostro momento, la prospettiva che ci fa vedere il tempo attuale, in materie che percorrono i solchi d’un infinito immemore, che forse solo la luce ha conosciuto al suo passaggio. Le installazioni di Ignazio hanno sempre un qualcosa di affascinante, eppure nello stesso momento di così semplice e disarmante. Infatti, è proprio per questo che la semplicità non lascia spazio alla libera interpretazione dei fatti, la guida, come una mappa, la incanala, la sottende, la sottace. Con quest’anima, Ignazio esprime concetti legati alla religione, alla storia, a ciò che sono i simboli delle nostre radici e plasmano la vita, il mondo, i sentimenti, i pensieri.

È per questo che l’approdo naturale della sua arte, diviene una ricerca attraverso i sostrati oscuri e sconosciuti dell’intimità universale, diviene un dialogo con e attraverso l’alchimia. Il percorso di crescita dell’artista avviene in un primo momento con lo sforzo intellettuale, incosciente a volte, per poi svolgersi con il lavoro duro e costante, con la conoscenza approfondita della materia che utilizza, che spoglia, che ricompone tra il divino e il concreto, in una costante tensione che pervade spirito, anima, sensi, anche mentre dorme: un moderno alchimista. L’illusione viene cristallizzata, fermata, condensata. Che sia anche questa la via per accedere alla pietra filosofale?

La ricerca della materia dell’universo, attraverso l’illusione dei fatti; ecco che ci si rende conto che l’immortalità esisteva già da prima di noi, ed è tramandata, trasmutata, resa oscura e confusa all’umanità. La natura diviene matematica, ridotta ai minimi termini, per non occupare spazio, un concetto. Come Dio che si era ridotto ad un punto talmente piccolo, un crogiolo in cui era concentrato tutto, prima di creare l’universo intero, e con esso l’uomo. E l’artista immortala l’invisibilità delle emozioni e delle passioni umane, rendendole percettibili, reali come macigni, come libri che tramandano il sapere ancestrale dell’umanità tutta, scomposta in miriadi di libri, che formano convulsamente un piano divino, lo svolgersi delle spirali del tempo.

Un tempo del quale Ignazio è alla ricerca, di un segno che possa traslare l’umanità nell’infinito; un segno che lui stesso ci indica nelle opere con le quali cerca di dare ordine al caos provocato dal Big Bang. Gli attimi divengono eterno che si proietta nello spazio in una continua realtà e non ci sono dubbi: dal momento che l’arte è visibile, tangibile, emozionante, allora è realtà che ferma il momento, l’essenziale, l’illusione, il sentimento. Attraverso le installazioni va alla ricerca del significato del tempo e dell’immortalità per giungere oltre il tempo stesso e oltre l’umanità, con il grande potere di immortalare le invisibili passioni umane, la fugacità della vita e delle persone che calpestano la polvere del mondo. Attraverso il processo metafisico e immorale viola l’intimità dei sentimenti più intimi e li trasfigura, si appropria di quella memoria ancestrale che su un piano altamente spirituale, lega l’umanità dalle origini dei tempi al senso del mistero. Ecco il tempo che si fa demone che s’appropria delle nostre vite ci ricorda ad ogni istante della sua presenza, non ammette errori, ci rende consapevoli.

Con La Sospensione del Tempo, Ignazio è riuscito a prendere il tempo nelle mani e renderlo tempio dell’umanità, lo ha intrappolato nel suo divenire nella sua metamorfosi ambigua dell’essere presente e passato, scorrere e divenire. Il tempo, sono solo 800 quadranti dell’orologio con lancette arrugginite, lo spettatore è avvolto completamente da tutti i secondi, i minuti, le ore della giornata tutti insieme e contemporaneamente.

Si ispira al Poema Burnt Norton di T.S. Eliot

"Il tempo presente e il tempo passato sono forse entrambi presenti nel tempo futuro, e il tempo futuro è contenuto nel tempo passato. Se tutto il tempo è eternamente presente tutto il tempo è irredimibile. O diciamo che la fine precede il principio, e la fine e il principio erano sempre lì prima del principio e dopo la fine. E tutto è sempre ora."

Eppure, l’eterno resta, e nasce un’altra installazione: L’ultima Cena rappresentata attraverso i simboli religiosi che si fanno profani, quotidiani, attraverso il pane, il vino, il tavolo coperto dalla tovaglia. Mancano gli attori principali. Il vuoto crea una vertigine tra l’assenza e l’attesa. Siamo così costretti a cercare le radici storiche, morali, religiose e civili. Si fa strada una religiosità intima e non bigotta, i simboli si fanno valori dell’umanità, lo spettatore diventa la parte mancante del quadro, il richiamo alla vita.

Ogni installazione una ricerca attraverso i simboli e lo sforzo psicologico di contestualizzarli. I libri ci parlano del cammino filosofico e scientifico dell’umanità, non senza i suoi dubbi. Le valigie ci portano nel cammino morale attraverso lo sforzo fisico e psicologico.

Fresu ha dato forma ed espressione al pensiero attraverso concetti visuali, cristallizza la percezione del tempo e dello spazio. I valori non sono scaduti, l’umanità non ha perso le sue radici e la sua memoria, e l’artista ha la capacità di ricordarcelo.

Testo di Isabella Ceccarelli 

https://www.meer.com/it/73227-lintima-visione-di-ignazio-fresu