lunedì 20 febbraio 2012

La Rivelazione come Dissonanza

Nel suo celebre aforisma 125, Nietzsche sosteneva che i valori assoluti in cui potersi unanimemente riconoscere erano morti, che ogni morale si basa su principi astratti e che non è dato conoscere la realtà ma solo l’apparenza.
Questa dimensione traumatica è solo un momento di passaggio in relazione ad un contesto più ampio che prevede l’avvento di un uomo nuovo.
La presa d’atto che non ci sono più verità, nemmeno quelle di più alto valore, ad una lettura superficiale apre la strada al nichilismo. In realtà l’uomo della morale è un uomo parziale, è ciò che la morale gli consente di essere, attraverso imposizioni sociali che mirano alla negazione della sua individualità. La morale soffoca l’anima e mutila l’uomo delle sue energie vitali. Superando la morale, l’uomo nuovo si riappropria della propria naturalità. In tal senso, vinti i limiti delle convenzioni, egli diventa né buono né cattivo ma completamente realizzato nella propria essenza.



È questa la “Rivelazione tra  sopravvivenza e buona novella” che il pensiero del ‘900 ha sviluppato passando per Martin Heidegger fino a Gianni Vattimo ed Emanuele Severino. Insieme alla filosofia anche le arti dallo scorso secolo a oggi contribuiscono proponendoci attraverso un  sentire che va al di là dei sensi, ad una rivelazione, intesa non come spiritualità, in un’esperienza differente dall’esperienza religiosa e al di là di ogni ermeneutica o epistemologia filosofica.
Suggerendo interpretazioni in un approccio diverso, l’arte fornisce un singolare processo comunicativo nei confronti del fruitore, un ponte ad una intuitiva irrazionale consapevolezza nell’umana pulsione a superare il carattere effimero del vivere in opposizione al continuo e inarrestabile scorrere del tempo, dove la manifestazione estetica non equivale a soffrire o godere di ciò; significa cogliere la bellezza  legata com’è al sensibile in cui non c’è una verità nel senso che dimostri qualche cosa, ma un’educazione dei sensi, un’educazione del gusto attraverso la cultura e con essa la possibilità di far scaturire da un’opera d’arte una quantità di significati che disincagliano la mente e i sensi dalla banalità.
È  una bellezza interiore che non si manifesta nell’apparenza delle cose. È una bellezza non nichilistica che al di là del suo apparire, non corrisponde ad una bellezza esteriore. C’è, quindi, proprio uno scollamento che avrà in Adorno e in tutta l’estetica moderna la sua conclusione nel dire che la vera bellezza è quella stridente, quella delle dissonanze in musica, in quanto un’arte che deve dare un godimento immediato è un’arte di consumo facilmente smerciabile mentre, l’arte grande è quella che inquieta e la cui bellezza è una folgorazione.
La bellezza è dunque rivelazione e consiste in una nuova consapevolezza dove l’arte è qualcosa di più di un semplice godimento in quanto ci solleva da questa esistenza, non genericamente per consolarci facendoci sopportare in qualche modo i mali della vita, ma per rendere l’esistenza che conduciamo più vera, più viva.
Ignazio Fresu